La riforma di Clunj ebbe ripercussione anche a Fermo tramite S. Pier Damiani il quale scrisse le Istituzioni per le monache. Della riforma abbiamo eco nella generosità dei vescovi di Fermo che fecero donazione di beni e concesso privilegi ai benedettini. Proprio sotto il vescovo Ermanno (1046), proteso ad appoggiare l’opera di riforma, che sorse in Fermo, con privilegio pontificio, un monastero femminile che fiorì e durò in S. Giuliano. In un inventario di S. Caterina infatti si ha memoria di un documento pontificio che diede l’avvio al nuovo monastero fermano. In esso Gregorio VI (1045-1046) da’ facoltà a Teresa Bonanni del monastero di S. Caterina di ricevere in detto monastero le giovani aspiranti, indipendentemente dal Vescovo. Questo privilegio concesso al Monastero di S. Caterina di Fermo è il più antico documento che si collega con l’attuale cenobio di S. Giuliano.
Nel secolo XII la dispersione è tale che anche la storia della città di Fermo in tale periodo resta oscura. Abbiamo un atto del Vescovo Ugo (1216), il quale scrive alla “vergine consacrata a Dio Costantina” (che aveva curato la ricostruzione del monastero di S. Caterina per renderlo più solido e spazioso). In questo atto il vescovo concedeva protezione alle monache, ordina che in ogni tempo il luogo di S. Caterina appartenga all’ordine monastico femminile di S. Benedetto, stabilisce che tutti i beni siano inviolabilmente tutelati e mantenuti. La disciplina regolare, il numero delle vergini consacrate a Dio, la vita virtuosa delle seguaci di S. Benedetto, la loro alacrità che fioriva e fruttificava santamente aveva enorme potenza di irradiazione tanto che governanti e dignitari ecclesiastici volevano che le monache potessero vivere senza difficoltà la loro consacrazione. Lasciti, testamenti vari fanno pensare che il monastero fosse cresciuto; il suo splendore fu oggetto di attenzioni anche da parte dei sommi pontefici. Nel 1230 Benedetto XII tutelava i lavoratori del Monastero, verso la metà del sec. XIV poi, Innocenzo VI confermava alle monache i privilegi e le indulgenze loro concesse e ribadiva che erano esenti da tasse. Trasformandosi nel XIV sec. Il comune di Fermo in signoria, si registrarono discordie e guerre devastatrici tra la città di Ascoli e quella di Fermo. In questo periodo Giovanni Firmani fu delegato dal Papa Martino V (1417-1431) a visitare e correggere le monache; sempre il vescovo Giovanni commissionò alle monache la miniatura di un messale che ancor oggi è ammirato per la finezza delle immagini e la delicatezza dei colori, testimonianza di un alto interesse per la vita liturgica. Devastazioni, usurpazioni e furti portarono alla decadenza del monastero di cui s’impossessarono canonici lateranensi dell’ordine gerosolimitano di S. Lazzaro, cioè dei cavalieri di Malta. Ciò fu possibile perché il Papa, dietro pressione dei nobili fermani e nell’intenzione di favorire l’ordine dei cavalieri di Malta, che sarebbero stati un punto di forza per la nuova crociata in Terra Santa, emise una bolla che stabiliva che le monache abbandonassero la sede di S. Caterina e trovassero riparo in altri conventi. Verso la metà del sec. XVI ottennero una nuova sede presso la chiesa di S. Giuliano appartenente al monastero di Fonte Avellana. Si sa che mons. Maramonti (27/5/1573) facendo la visita di questo monastero trovò che in esso si osservava la regola di S. Benedetto e che le monache godevano di ottima fama. Inoltre il vescovo Felice Peretti si interessò perché il Monastero si informasse alle nome prescritte dal Concilio Tridentino. Il Monastero prosperò e le monache, quasi tutte nobili fermane, divenute esempio per la loro virtù, meritarono che il card. Paracciani ne ordinasse e ne eseguisse la solenne consacrazione. Siccome la loro chiesa era troppo angusta impetrò un indulto pontificio in forza del quale le religiose potessero accedere alla chiesa metropolitana dove il 2/9/1770 si compì il sacro rito. Un’ altra data importante nella storia del Monastero è il 17/5/1857 che vide ospite delle monache il santo papa Pio IX.
Espulse da questo monastero nel 1864, per opera del governo italiano, trovarono asilo nell’antico monastero di S. Pietro vecchio, Fedele alla tradizione benedettina, la comunità si è dedicata al servizio dell’accoglienza di persone che vengono al Monastero per imparare il silenzio, la preghiera, frastornati come sono dal rumore, dal chiasso, dall’inflazione di parole inutili ed insulse, per ascoltare l’unica Parola, quella di Dio.